Sono passati 100 anni da quando si ipotizzo: "probabile vita su Marte"

Osservare Marte è sempre interessante. È vero da Kepler a oggi, cioè da almeno 400 anni, passando dall’astronomia a occhio nudo a quella col telescopio a quella «in situ», fatta con le sonde inviate su Marte.
Usando osservazioni a occhio nudo del moto di Marte visto dalla Terra (una cosa per niente semplice) all’inizio del Seicento Kepler capì che l’orbita del pianeta non era una circonferenza, come aveva pensato Copernico, ma una ellissi. Si rimane sempre ammirati delle capacità dell’astronomo imperiale che, partendo da queste osservazioni, arrivò a formulare le sue famose leggi. Se l’orbita di Marte fosse stata più circolare, o se Kepler si fosse concentrato su Venere, molto più rotonda, la storia dell’astronomia sarebbe stata diversa. Il professor Giovanni Bignami spiega in un articolo la storia sempre affascinante della ricerca di vita nel pianeta rosso. Era l'agosto 1911 e il magnate americano Percival Lowell diffondeva la notizia di una civiltà marziana. Sono passati 100 anni da allora.  

Semplice: arrivò il telescopio. Francesco Fontana, avvocato napoletano e astrofilo, nel 1636 fu il primo a vedere delle disuniformità sulla superficie di Marte: non più un disco omogeneo, ma con zone chiare e scure. Trent’anni dopo, Giovanni Domenico Cassini sfrutterà quelle macchie per determinare il periodo di rotazione di Marte in 24 ore e mezza, per caso simile a quello della Terra. Cassini fu il primo, e fece un errore di solo un paio di minuti.

L’«annus mirabilis» per lo studio di Marte è il 1877, quando l’astronomo americano Asaph Hall scopre l’esistenza delle due lune marziane (Phobos e Deimos) e Giovanni Schiaparelli, direttore dell’osservatorio milanese di Brera, inizia sul pianeta una serie di osservazioni che continuerà fino al 1890.

Le osservazioni di Schiaparelli, pubblicate in italiano negli Annali dell’Accademia dei Lincei, hanno eco mondiale. L’ottimo telescopio (tedesco) di Schiaparelli gli permette di vedere alcune strisce che sembrano collegare vaste macchie scure sul pianeta, attribuite a mari o distese d’acqua. Non c’è ancora la fotografia astronomica, e l’astronomo disegna a mano quello che vede, o che crede di vedere.

Schiaparelli chiama le strisce «canali», le disegna belle dritte, e capendo che devono avere ampiezza di molti chilometri per poter essere viste dalla Terra, le attribuisce a vegetazione lungo corsi d’acqua. Dà ai canali nomi di fiumi terrestri (Nilo, Gange), ma nota che da un’osservazione alla successiva si vedono delle differenze. I suoi lavori vengono letti in tutto il mondo: Camille Flammarion, il grande divulgatore, li fa arrivare al suo vastissimo pubblico con parole di ammirazione per l’astronomo italiano.

Il lettore più appassionato di Schiaparelli è però un ricco americano: Percival Lowell. Viste le mappe marziane, nel 1896 fa costruire un osservatorio su una montagna dell’Arizona: il Lowell Observatory, che esiste ancor oggi. Ma Lowell, folgorato dalle mappe di Schiaparelli, prese una terrificante cantonata di traduzione. Tradusse «canali» con «canals», parola simile ma di significato alquanto diverso. Mentre in italiano «canale» può essere artificiale (Villoresi) o naturale (Canale di Sicilia), in inglese non c’è dubbio: «canal» è solo artificiale.

Lowell, scrittore dotato di ottima fantasia, si convince così che quello che vede, o crede di vedere, sono canali scavati da una civiltà avanzata, al lavoro su Marte. Insomma, i marziani, tipi straordinariamente tosti e intelligenti per sopravvivere in un ambiente così ostile, nascono da un errore di traduzione. I canali sono per loro essenziali: sono l’unico mezzo per trasportare l’acqua della fusione dei ghiacci polari fino alle zone equatoriali.

Anche Lowell fa mappe di Marte, addirittura costruisce un mappamondo marziano, con canali dritti, lunghissimi, che si incrociano in punti che sembrano città. Ho avuto la fortuna di tenere in mano uno dei globi di Lowell e, guardandolo, ho capito quanto reali dovessero sembrare i marziani. Anche Lowell crede di vedere diversità nella ragnatela di canali confrontando disegni fatti durante due successive opposizioni. Non pensa di essersi sbagliato: si convince che i marziani hanno costruito due immensi canali in due anni.

Manda la notizia al «New York Times», che la pubblica con grande risalto proprio cent’anni fa, il 27 agosto 1911. Nessuno allora dubitava della vita su Marte, tutti erano pronti ad accettare che non fossimo soli nel Sistema solare, anzi, si fanno complimenti ai nostri vicini planetari per le loro capacità ingegneristiche. Stava partendo lo scavo del Canale di Panama: ridicolo, rispetto a quelli marziani…

Sarà la fotografia astronomica a togliere poco dopo l’elemento di fantasia dai disegni degli astronomi. Ma la vera parola fine ai canali (e alle civiltà marziane) verrà messa dalla sonda Mariner 4, nel 1965. Le prime foto prese da vicino non mostrano canali, ma crateri, canyon e letti secchi di grandi fiumi. L’acqua su Marte c’è stata, oggi ne siamo sicuri, ma se n’è andata, forse insieme con gran parte dell’atmosfera di un pianeta troppo piccolo per trattenerla.

Attualmente, l’atmosfera di Marte è così sottile che l’acqua non può scorrere liquida in superficie: evaporerebbe istantaneamente. Eppure, confrontando le immagini catturate durante sei anni di attività dalla sonda Mro, ancora oggi in orbita, la Nasa ha appena pubblicato su «Science» immagini di colate scure sulle pendici esposte al sole durante l’estate marziana. Sorgenti su Marte? Non certo «incanalata», ma forse un po’ di acqua (salata?) ogni tanto scorre liquida sul pianeta rosso.

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