I ricercatori hanno creato una condizione di stress cronico in alcuni topi, somministrando loro, per quattro settimane, un composto simile all’adrenalina; questa molecola si lega a specifici recettori, chiamati beta adrenergici, posti sulle membrane delle cellule (si tratta di recettori accoppiati a proteine G, identificati negli anni Ottanta dallo stesso Lefkowitz). I biologi hanno poi osservato che questa sostanza innesca due meccanismi molecolari: uno attraverso questi recettori beta adrenergici, l’altro attraverso altre proteine, chiamate beta-arrestine. Ebbene, il risultato finale di queste due vie biochimiche è la degradazione della p53, che, infatti, si è mantenuta a livelli bassi per tutto il periodo di somministrazione, durante il quale il Dna ha accumulato difetti.
Lefkowitz e colleghi hanno anche mostrato che i topi geneticamente modificati per non produrre la beta-arrestina 1 non hanno sviluppato irregolarità nei cromosomi: la perdita di questa proteina avrebbe infatti stabilizzato i livelli di p53 sia nel timo (una ghiandola del sistema linfatico che risponde allo stress acuto e cronico) sia nei testicoli, dove lo stress del padre può avere degli effetti sul genoma della prole.
Il prossimo passo sarà capire se la reazione fisiologica di stress (e non un modello ottenuto per somministrazione di un composto) può innescare altri processi che portino a ulteriori danni a carico del Dna.
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