Cinque inedite, antichissime galassie

I telescopi più potenti dell’Universo non sono costruiti dagli astronomi, ma ce li regala Madre Natura. Sono le lenti gravitazionali, capaci di deflettere la luce proveniente da lontanissime galassie in maniera analoga alle lenti di ingrandimento. In questi casi l’“effetto lente” ci fornisce un’immagine distorta e ingrandita di galassie remote, ben oltre la portata dei telescopi a Terra. Ora, grazie a questo effetto, un gruppo internazionale di astronomi è riuscito a osservare le immagini “ingrandite” di cinque nuove lontanissime galassie primordiali con un alto tasso di formazione stellare, nate quando l’Universo aveva appena un quinto dell’età attuale (si trovano a circa 11 miliardi di anni luce da noi).

Sfruttando osservazioni effettuate dal telescopio spaziale infrarosso Herschel, il team, composto da diversi ricercatori italiani e coordinato da Mattia Negrello della Open University in Gran Bretagna, ha applicato un nuovo metodo per scoprire le lenti gravitazionali, descritto oggi su Science. Alla ricerca hanno contribuito anche Luigi Danese e Joaquin Gonzalez-Nuevo della Sissa - Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e Gianfranco De Zotti e Sara Buttiglione dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova.

Predette da Einstein negli anni Trenta, le lenti gravitazionali sono una delle conseguenze della Teoria della Relatività Generale. Secondo questa celebre teoria, pubblicata nel 1916, la presenza di un corpo dotato di massa può curvare lo spaziotempo circostante. Quindi un raggio luminoso, passando vicino a un corpo massiccio, non procede in linea retta, ma viene deviato. In presenza di un effetto lente particolarmente intenso (strong lensing), può avvenire che la luce di una galassia lontana venga deflessa da galassie più vicine, con il risultato di una distorsione o un ingrandimento dell’immagine della galassia sullo sfondo. Scovare nuove lenti gravitazionali, anche in caso di strong lensing, non è però un compito facile, perché richiede grandi risorse di calcolo. Pertanto un metodo efficiente come quello proposto da Negrello e colleghi è particolarmente utile, soprattutto nelle osservazioni infrarosse, dove i telescopi hanno una risoluzione (angolare) limitata.

L’idea di base del nuovo metodo è utilizzare osservazioni che abbracciano ampie porzioni di cielo, sulle quali è possibile studiare la distribuzione di luminosità e confrontarla con le previsioni teoriche. “Questo studio ha dimostrato come il metodo da noi utilizzato sia straordinariamente efficiente per scoprire i rari fenomeni di forte amplificazione gravitazionale dei flussi di galassie lontane” ha commentato De Zotti. “Questi fenomeni sono di estremo interesse per numerosi motivi. Per esempio ci consentono di studiare le condensazioni di materia che agiscono da lenti gravitazionali e che sono prevalentemente composte di materia oscura, quindi inaccessibile alle normali osservazioni astronomiche”.
La scoperta delle cinque galassie è stata effettuata confrontando le osservazioni con un modello teorico della distribuzione su un'ampia regione di cielo di sorgenti a lunghezze d'onda submillimetriche. “Il modello alla base della ricerca - precisa Negrello - è stato elaborato da un gruppo di astrofisici della Sissa in collaborazione con l’Inaf-Osservatorio Astronomico di Padova nel corso degli ultimi dieci anni. E i primi dati raccolti a bordo di Herschel ne dimostrano la validità”.

Le osservazioni rientrano nell’ambito del progetto Herschel Astrophysical Terahertz Large Area Survey (H-ATLAS), che si propone di osservare un’area di circa 580 gradi quadrati a lunghezze d’onde comprese fra 100 e 400 micron con PACS e SPIRE, due degli strumenti installati su “Herschel”. Finora solo una parte di questo progetto è stata portata a termine, coprendo circa 14 gradi quadrati fino a novembre 2009.

Queste cinque galassie sono soltanto l’antipasto di un menù molto più succulento. Come sostengono gli autori, quando il progetto H-ATLAS sarà completo sarà possibile scoprire almeno un centinaio di nuove lenti gravitazionali, che permetteranno di gettare uno sguardo più profondo sugli angoli più remoti dell’Universo.


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