La leggenda di Benkei, il "figlio di un demone"

L'antichità è popolata da guerrieri talmente straordinari da possedere capacità quasi sovraumane. Ci sono giunti racconti di duelli e battaglie durate giorni interi senza interruzioni, di uomini in grado di abbattere intere legioni; imprese che possono sembrare esagerate (e in effetti, in molti casi, lo sono), ma che in fondo contengono un fondo di verità: i guerrieri dell'antichità avevano un'altra tempra.

E' il caso di Saitō Musashibō Benkei. Benchè poco conosciuto in Occidente, molto meno conosciuto di personaggi come Musashi Miyamoto o star moderne delle arti marziali come Bruce Lee, Saitō Musashibō Benkei è considerato in Giappone come un semidio, e ha riempito il folklore del Sol Levante con storie circa la sua forza e la sua lealtà, tramandate anche attraverso il teatro kabuki.

Saitō Musashibō Benkei fu un monaco guerrieri (sōhei) al servizio di Minamoto no Yoshitsune, generale del clan Minamoto durante la transizione tra il periodo Heian e Kamakura.
Le sue origini sono controverse: alcuni lo considerano il figlio di un monaco che violentò sua madre, la figlia di un fabbro; altri ritennero che fosse il figlio di una divinità; altri ancora che fosse il figlio di un demone, tanto da soprannominarlo Oniwaka, "figlio di un demone".
Benkei non solo fu considerato un uomo talmente terrificante da poter letteralmente ridurre in poltiglia un uomo utilizzando le sole mani, ma anche talmente brutto e cattivo da mettere in fuga chiunque avesse l'ardire di affrontarlo.

Benkei era un monaco buddista, ma non del genere che se ne sta a pregare tutto il tempo in attesa dell'illuminazione. Dopo il suo ingresso in monastero infatti, fu ben presto cacciato per via della sua attitudine troppo bellicosa e focosa.

A quel punto, Benkei si rifugiò nella foresta, costruendo il suo santuario personale nei pressi di un ponte su un fiume calmo e dal rumore rilassante, dedicando la sua vita ad attaccare chiunque avesse intenzione di attraversare il ponte.

Durante la sua "carriera", se così possiamo chiamarla, Benkei vinse 999 duelli, senza mai subire una sconfitta, collezionando le 999 spade degli sconfitti.
La sua prima sconfitta, che cambiò il corso della sua vita, avvenne con il 1000° duello: un giorno, Minamoto no Yoshitsune, generale del clan Minamoto, si ritrovò ad attraversare il ponte, venendo inevitabilmente sfidato da Benkei.
Yoshitsune riuscì a disarmare quel diavolo di monaco e a colpirlo al volto, lasciandolo talmente stupito da meritarsi la sua lealtà vita natural durante.
D'altra parte, come si poteva sconfiggere Yoshitsune, che si diceva fosse stato addestrato all'uso della katana da un Tengu, una creatura mitologica metà uomo e metà uccello?

Da quel momento, Benkei seguì come un fedele cagnolino il suo generale, viaggiando per il Giappone e combattendo al fianco di Yoshitsune nella sanguinosa battaglia tra il clan Minamoto ed il suo atavico rivale, il clan Taira.
La vita per Benkei era perfetta: lotte continue, spargimento di sangue, ossa rotte e nemici macellati come quarti di bue; fino a quando il fratello del suo generale, Minamoto no Yoritomo, decise di compiere una scalata al potere, dichiarando Yoshitsune un traditore ed un fuorilegge.

Durante i successivi due anni dalla messa al bando dal clan Minamoto, Benkei seguì Yoshitsune, fino al momento in cui si ritrovarono assediati all'interno del castello Kowomogawa no tate.
A Yoshitsune non rimaneva altra scelta che il seppuku, per conservare il proprio onore e lavare l'onta dell'essere stato espulso dal proprio clan. Il seppuku è un rituale che richiede tempo, e con i sicari del fratello alle calcagna non c'era molta speranza di portare a termine il suicidio rituale.
Yoshitsune quindi ordinò al suo unico guerriero rimasto, Benkei, di sorvegliare il castello durante la preparazione del rituale.

Benkei non era di certo il tipo d'uomo che si fa abbattere dal fatto di essere da solo contro un esercito, e prese l'ordine molto seriamente. Si posizionò sul ponte che fungeva da unico ingresso al castello, intento a non far passare nessuno. Armato di naginata, un'arma ad asta munita di lama ricurva ad un'estremità, uccise chiunque tentò di attraversare il ponte.

Il nemico era bloccato: nessuno aveva intenzione di finire macellato dalla furia di quell'energumeno, che incuteva terrore al solo sguardo. Si decise quindi di cercare di abbatterlo con qualche freccia: i dardi lo centrarono, ma non sembrarono ottenere molto effetto. Benkei se ne stava sul ponte, in piedi, naginata nella mano, in attesa del prossimo avversario.

La leggenda vuole che le frecce scagliate furono oltre 20. E si racconta che la forza d'animo di Benkei fosse tale che il guerriero morì in piedi, in posizione di guardia ("La morte in piedi di Benkei"), senza che il nemico potesse accorgersi del suo trapasso.
Gli assalitori si accorsero della sua morte solo dopo qualche tempo, lasciando a Yoshitsune il tempo necessario a compiere il seppuku e a preservare il proprio onore.

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