Le cellule staminali possono essere adulte o embrionali. Quelle embrionali, a loro volta, possono essere “originali” o derivate dalle cellule somatiche (per esempio della pelle) regredite a uno stadio pluripotente. Al momento, le malattie per cui il trattamento con le cellule staminali è dichiarato sicuro ed è entrato nella pratica medica sono pochissime, anche a causa della forte propensione di queste cellule a sviluppare tumori. Per molte altre patologie, comunque, sono in corso studi e sperimentazioni (c’è fermento soprattutto per le staminali neuronali e quelle in grado di produrre insulina, da poter impiegare in pazienti con traumi al midollo spinale e con diabete di tipo 1). Certo, serviranno almeno una dozzina di anni prima di poterne vedere le applicazioni in campo medico. Quando questo accadrà, però, sarà fondamentale avere a disposizione un sistema di coltura efficiente, dal momento che per una sola terapia possono servire miliardi di cellule.
Attualmente, le superfici di crescita consistono in un disco di plastica ricoperto con una sostanza gelatinosa su cui poggiano cellule o proteine murine, necessarie per mantenere in vita le staminali. Precedenti studi avevano suggerito che numerose proprietà chimiche e fisiche della superficie – come la ruvidità, la rigidità e l’affinità per l’acqua – possano influenzare la crescita delle cellule. Partendo da queste informazioni, Mei e Saha hanno creato circa 500 polimeri (lunghe catene di molecole che si ripetono) e valutato le loro performance. Risultato: le superfici migliori per le staminali sono quelle idrofobiche che includono nella struttura un’alta percentuale di acrilati, ricoperte da una proteina sintetica chiamata vitronectina, che promuove l’attecchimento delle cellule. Ruvidità e rigidità, al contrario, non sembrano avere alcun effetto sulla loro crescita.
tratto da: http://www.galileonet.it/
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